Systema naturae

di Italo Nobile

Con Systema Naturae Antonio Barbagallo mostra tutta la sua ambizione mitopoietica, che potremmo accostare alle visioni di Neruda. Una natura vorace ed incalzante lo costringe, una natura che mostra la sua potenza negli slanci e nelle distanze, nella sua energia cinetica e nella sua energia potenziale (… e alla spiaggia trascinavi gli alvei attraverso la notte planetaria, solcando aspre rocce dilatate, travolgendo nel cammino tutto il sale della geologia, tagliando boschi dai muri compatti e distaccando i muscoli del quarzo). Il titolo è anche ironico: niente più della sua arte è più lontano da una tassonomia statica, da un universo fatto nella sua completezza in un solo istante all’inizio del tempo. Il cosmo della sua arte è una evoluzione tumultuosa, una gemmazione instancabile, dove domina la spirale che è galassia ed è conchiglia, genera i cieli ed abita i mari. Il Systema Naturae è infatti cielo che si specchia nel mare e mare che si lancia nei cieli in un abbraccio che è mortale e materno (fiume di razze, patria di radici, il tuo ampio suono, la tua aspra lama viene da dove io stesso provengo, da povere e altere solitudini, da un segreto di sangue, da una madre silenziosa d’argilla), e dove non si riesce a capire cosa appartenga all’abisso delle acque e quel che invece è destinato al vertice delle nuvole.

Barbagallo combatte le classificazioni. Esse sono un gioco conoscitivo nel bambino, ma oltre questo breve tempo rappresentano una prigione angusta che irrigidisce le immagini e le persone, le ammucchia in piccoli spazi e toglie ad esse il respiro (dall’aria all’aria, come una vuota rete). E’ la logica delle collezioni, delle merci, della reificazione dell’uomo. Le anime del mondo sono stracci di ogni colore compressi dal desiderio umano di dominare le differenze attraverso la prigione di spazi infiniti e deserti (io ero solo. Era pianura e solitudine la vita). Il mare è uno di questi spazi, dove barconi di profughi affondano lasciando allo sguardo stupito dei pescatori d’uomini solo manichini e stracci colorati (ma, vasto mare, oh morte! tu vieni come gli assoluti numeri della notte). Barbagallo raccoglie ossa d’animali e pezzi di legno che naufragano su spiagge ventose e con esse raccoglie anche le anime di chi si è avventurato alla ricerca di un po’ di fortuna e ha trovato solo la propria fine (non ho potuto cogliere che un grappolo di volti o di maschere precipitate, come anelli d’oro vuoto, come vesti disperse, figlie di un autunno rabbioso, che facesse tremare l’infelice albero delle genti spaurite).

Nelle civiltà precolombiane il tempo era intermittente con la catastrofe, il cielo era sempre sull’orlo dell’abisso e le carcasse umane si ammassavano in cumuli perché il sole non cadesse sul mondo degli uomini (In un tuono, simile ad un urlo, cadeva il sangue sulle sacre scalinate). Forse la morte che soffia sulla civiltà con periodiche cadenze serve sempre a chiedere tregua a divinità impazzite a seguito della nostra tracotanza (volava al di sopra del mondo il condor, monarca assassino, frate solitario del cielo, negro talismano della neve, uragano della rapacità). Barbagallo registra questi insiemi di animali al sacrificio e la scrittura, prima con tacche che affondano furiose nella materia, poi con segni olimpici e lontani, è lo strumento di questa denuncia. La Natura ha perseguito l’uomo e l’uomo ha perseguito l’altro uomo. Non è nella disperazione la risposta. L’arte è l’espediente. La mano che uccide e rimuove è anche la mano che, scrivendo, richiama alla memoria (io parlo dalla vostra bocca, morta). Barbagallo evoca Odisseo, uom di multiforme ingegno, che non si sa se morì sereno nella sua isola natia o mai domo inghiottito dai flutti di Oceano, il serpente che delimita il mondo (e sul fondo dell’acqua immensa, come il circolo della Terra, sta la gigantesca anaconda avvolta di melme rituali, divoratrice e religiosa).

L’uomo è il punto di arrivo della Natura (l’uomo fu terra, ciotola, palpebra …), ma ne è anche l’assassino ( chi, nei corridoi, nell’aria, nel mare o nelle strade, preserva il proprio sangue senza pugnale?). Nell’emanciparsi dalla sua paura dell’onda e del tuono, egli cerca una vendetta contro l’albero (Maya voi avete rovesciato l’albero della conoscenza) e il fiume, una vendetta che però porterà alla rovina lui e la sua progenie. La vendetta è una trappola ben congegnata per tutti. Forse l’espediente che ci consente di fuggire da questa trappola di acqua e sabbia (dal tempo, e da chi se no? Chi è il giustiziere più spietato?) sta nella capacità dell’uomo di prendere oggetti abbandonati (l’essere, come il granturco, si sgranava nell’interminabile granaio dei fatti perduti) e farne ornamento, strappare fossili alla rena e farne segnali di indicazione, il corno di un bue e farne un portafortuna o un utensile (il pensiero minacciava il sangue dei basamenti, rovesciava il cielo nell’ombra, orientava la medicina e scriveva sopra le pietre). L’arte è somma ecologia: prende ciò che il mondo rifiuta e ne fa tappe consapevoli del nostro percorso di apprendimento. A noi, assediati dalle parole non dette (il tuo aroma mi salì dalle radici fin nella coppa a cui bevevo, nella più esile parola non ancora dalla mia bocca spuntata) come un condottiero da schiere di barbari, Antonio Barbagallo, dolce carpentiere d’autunno, offre un salvacondotto. Sta a noi adesso accettarne l’offerta.

Dal catalogo "Systema naturae"

Systema naturae

di Giorgio Berchicci

La consapevolezza della necessità di proteggere alcune fonti essenziali per la vita ( acqua, aria, ambiente ), e di migliorarne la loro fruibilità, si è dapprima diffusa per il tramite di territorialità protette come i Parchi Nazionali e Regionali, poi con documenti internazionali, come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo o la Convenzione di Oviedo, che fanno esplicito riferimento a questi diritti dell’umanità, per poi ritrovarsi gradatamente in moltissime Costituzioni Nazionali, assumendo sempre più una valorialità percepita e vissuta come un “unicum” di interesse etico in ogni angolo della Terra, tanto da essere tradotta in diritti individuali cosiddetti di terza generazione nell’ambito di dottrine giuridiche come il diritto Costituzionale.

Tutto questo fa parte della nostra cultura, e quindi non possiamo non considerare come una esperienza espressiva l’ambiente nel quale tutti viviamo, naturalmente senza dimenticare quelle differenze peculiari che già per alcuni filosofi presocratici costituivano l’essenza della vita.

In un momento molto difficile per la nostra Nazione, e per la nostra Provincia in particolare, abbiamo sentito l’esigenza di voler riaffermare una serie di contenuti che identificano il nostro patrimonio culturale, storico e ambientale e lo inseriscono, senza alcun dubbio, in quello ben più ampio dell’Umanità.

Abbiamo, quindi, ritenuto opportuno segnalare, con una stagione di mostre dal titolo emblematico di “Natura”, la nostra presenza in un territorio, quello della Provincia di Isernia, che si propone come esempio della cosiddetta “ Italia minore “, perlopiù sconosciuta alla maggior parte di noi, ma che comunque ha nutrito una storia sublime, fatta di Paleosuolo, di Sanniti - Pentri o no ha poca importanza - che ci hanno lasciato Templi costruiti in vicinanza del cielo, dove si è più vicini agli Dei da onorare e dai quali essere protetti; di sconfitte e di vittorie romane; di pastorizia con dogane ( Altilia ) e tratturi; di Monasteri, come S.Vincenzo al Volturno, dove si è scritta la storia di un’epoca come in nessuna altra parte d’Italia. E di altro che ancora sfugge alla nostra conoscenza scientifica ma non alla nostra sensibilità.

“ Natura “ quindi fatta di ombre, di scrittura, di tagli di luce, di boschi e di acque, nei quali si è vissuto e si continua a vivere, partecipando di quel ciclo dell’umano nel quale riversiamo la nostra identità: poi, alla fine, è la “natura morta”, che ancora continua a parlare e a suggerire di una presenza che non sarà mai cancellata, né per incuria né per decreto.

Dal catalogo "Systema naturae"

Systema Naturae

di Carlotta Bucci

 

Splendide fioriture, specialmente in primavera e al principio dell’estate, allietano il paesaggio vegetale montano alle varie quote.”

Franco Tassi, Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise 1990.


Il territorio molisano dispone e custodisce una ricchezza ancora intatta, in parte dovuta al lungo isolamento in cui è rimasta, costituita sia da incontaminati scorci panoramici, sia da sconosciuti quanto interessanti beni artistici e siti archeologici, che si incastrano nel tessuto culturale di questa terra come spazi indispensabili per comprendere al meglio l’arte, la tradizione, la storia di chi ha vissuto in questo angolo d’Italia, di coloro che nei tempi passati hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà che oggi conosciamo.

Tre massicci montuosi, alla testa di tre bacini portanti della realtà fisica regionale: si tratta delle Mainarde, del Matese e del gruppo dell’Alto Molise. I tre raggruppamenti, ricchi di sorgenti, danno vita rispettivamente ai fiumi Volturno, Biferno e Trigno, che nella loro corsa verso il mare animano e caratterizzano con forza un suolo modellato dalla natura e dall’uomo.

Paesaggi, dall’Alto al Basso Molise, in simbiosi con una presenza umana che secolo dopo secolo ha disseminato insediamenti preistorici, templi e teatri, fortificazioni e monasteri, borghi e chiese, città e monumenti, in un rapporto non passivo ma mutualistico, poiché l’uomo è il custode dell’ambiente che abita.


Natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento”. (F. Arcangeli)


Il concetto di Natura come fondamento, il suo stretto rapporto con l’uomo e il simbolo pervadono l’opera del Barbagallo, elevandosi a imperativo assoluto.

L’artista, ispiratosi per alcune opere al “Canto generale” di Neruda, in particolare alla prima e alla penultima sezione o “cantos”, elogia la Natura, appassionata trasfigurazione lirica, visione panoramica naturalistica e canto alle cosmogonie, quindi alla nascita del cosmo, all’origine dell’universo e dell’Uomo. Sfondo costante delle sue opere, attraverso l’impiego di differenti tecniche, materiali, e miscele cromatiche, il suo Essere è concepito come orizzonte e limite del Tutto, e, allo stesso tempo, come pura e semplice rappresentazione caratterizzata da “piccoli pezzi di natura”, elementi naturali in stretto rapporto con l’esperienza e il destino dell’uomo che si annodano per i percorsi della Natura tra simboli-segni del silenzio, del tempo, della terra, del cielo e delle stelle.

Il legame segno-simbolo e Natura viene vissuto come totalità, la fibra vegetale è struttura del tessuto naturale e animale, quindi anche dell’uomo, è l’elemento principale dal quale parte la percezione e la riflessione. Pertanto, come parte integrante di una Natura immortale, si eleva anch’esso a simbolo eterno, senza inizio né fine, un tempo sempre presente, al quale non ci si può sottrarre, come imperativo morale.

L’artista attraverso terre, resine, pigmenti e fibre vegetali, superfici ora di ferro ora di bronzo, esplicita la Natura, tutto ciò che circonda l’uomo viene fatto emergere, dal macroscopico si passa al microscopico dell’ambiente naturale. Egli, conferendo potenza e valore all’atto del guardare, lavora sulla realtà, si concentra sui campi visivi facendo sì che l’osservatore si soffermi su ogni minuto particolare.

Gli elementi o radici rappresentati (fuoco, terra, aria e acqua) appartengono e simboleggiano il mondo della tradizione ellenica, identificati con la parola greca stoicheia, nel significato di lettere dell’alfabeto, vale a dire gli elementi primi di ogni parola, nel senso di principio, inizio, componenti minimi. La loro unione determina la nascita delle cose e la loro separazione la morte. Si tratta, però, di apparenti nascite e di apparenti morti, dal momento che l’Essere (le radici) non si crea e non si distrugge, ma è una continua trasformazione, una progressiva aggregazione delle radici, una cosmogonia rinnovata attraverso la manipolazione degli elementi.

L’artista si avvale proprio di segni e di caratteri antichi, di alfabeti fonetici e ideografici riporta e incide scritture cuneiformi tributate dai popoli dell'Asia occidentale, adotta "scritture segrete" dei popoli nordici e pittogrammi egizi che rimandano a forme di contatto, segni che rappresentano, “citano” un altro segno, mimandolo e raddoppiandolo, portando così il tutto a un continuum, un presente e un passato lontanissimo che si integrano perfettamente tra loro.

Un unico filo conduttore quindi: la forza dirompente della Natura. Attraverso l’astratto informale, l’artista regala le sue suggestioni più intime suffragate da una Natura ora pacifica ora leopardiana. Al turbine di ombrosità si accostano pennellate vivide, l’uso della cera non fa altro che rimarcare questa assidua tendenza all’ombroso come metafora della vita, al tempo stesso irradiata dalla luce dell’arte.

Dal catalogo "Systema naturae"

Table of Contents